Testo e comunicazione


McLuhan

Marshall McLuhan è stato il primo consulente in tema di comunicazione del governo americano. Understanding Media era originariamente una sorta di relazione che l’autore e il suo gruppo di ricerca scrissero per il governo, analizzando il panorama dei media.

McLuhan deve molto al pensiero di Innis, di cui è stato forse il più importante erede intellettuale. Scrivendo l’introduzione a The Bias of Communication, dice:

mi fa piacere pensare il mio proprio libro La Galassia Gutenberg come una nota a piè di pagina alle osservazioni di Innis sul tema delle conseguenze sociali e psicologiche, prima della scrittura e poi della stampa.

Egli ha applicato alla ricerca sui mezzi di comunicazione un metodo del tutto particolare, continuando nell’opera, iniziata dal suo stimato collega, di trasformazione della ricerca sui contenuti della comunicazione in quella sulle caratteristiche dei mezzi. Secondo McLuhan, infatti, “il mezzo è il messaggio”: non è tanto importante, quindi, studiare i contenuti del mass-media («Gli effetti della tecnologia non si verificano infatti al livello delle opinioni o dei concetti»), che possono essere diversi, ma non hanno alcuna influenza sulle forme dell’associazione umana, quanto il medium stesso e il condizionamento profondo che, in virtù delle sue caratteristiche tecnologiche, opera sui nostri modi di percepire e pensare il mondo. Anche la forma-testo deve essere intesa in questa dimensione.

L’autore canadese esibisce la sua formazione di letterato e critico teatrale nella lettera che il 14 marzo 1951 invia ad Innis (McLuhan, La cultura come business. Il mezzo è il messaggio, Armando Editore, Roma, 1998) . Nella prima parte, McLuhan si concentra proprio sui suoi studi di letteratura, e in particolare su quelli relativi al Simbolismo (i primi saggi di McLuhan sono articoli di critica letteraria su Yeats, Mallarmé, Pound, Rimbaud). I Simbolisti francesi furono i primi ad occuparsi dello spazio materiale della scrittura (vd. Mallarmé: spazi bianchi, parole coreograficamente distribuite nello spazio). L’architettura della scrittura non è più quella tradizionale, ma esplora lo spazio della pagina per produrre significato: anche lo spazio vuoto dà significato. McLuhan scriveva:

Mallarmé vedeva la stampa moderna come una magica istituzione prodotta dalla tecnologia. […] Una pregnante scoperta dei Simbolisti che ebbe grandissima importanza per le analisi successive fu la loro nozione del processo conoscitivo come labirinto dei sensi e delle energie mentali la cui capacità di retrospezione forniva la “chiave” a tutte le arti e alle scienze.

Con “retrospezione” si vuole intendere la ricostruzione del processo, della genesi dell’opera, che viene “messa in scena”. I Simbolisti percepiscono per la prima volta che il processo compositivo  è fondamentale per capire come funziona il testo: come quest’ultimo si costruisce dal punto di vista tecnico e come nasce e si sviluppa l’idea (citerà in merito Edgar Allan Poe, autore del saggio On composition, nel quale parla del suo modo di scrivere).

Gianfranco Contini, importantissimo filologo, studiando i manoscritti autografi degli stessi Simbolisti francesi (in particolare, Mallarmé, ma non solo), ha inventato la “critica delle varianti”, ovvero una epistemologia, una concessione alla conoscenza in fieri, di cui il testo finale stampato rappresenta solo una tappa. Segre, sulla stessa linea, ha parlato di testo come “concetto limite”. Fondendo la critica delle varianti (nata per il testo cartaceo, ma applicabile alla scrittura al computer) come cornice epistemologica, la psicologia della composizione in quanto cornice psicologico-pedagogica dello studio della scrittura, e l’informatica come possibilità concreta di non raggiungere una stabilità del testo, Fiormonte (D. Fiormonte, Scrittura e filologia nell’era digitale, Torino, Bollati Boringhieri, 2003) ha provato a descrivere ed analizzare le forme di scrittura digitale. La scrittura si rivela, infatti, in tutta la sua dimensione processuale anche – e più che altrove – nella dimensione informatica.

La tendenza generale della comunicazione moderna, che si tratti della stampa giornalistica o della pubblicità o delle arti vere e proprie, è volta verso la partecipazione a un processo piuttosto che verso la formulazione di concetti. E questa profonda trasformazione, intimamente connessa alla tecnologia, produce effetti che non hanno ancora cominciato ad essere studiati sebbene abbiano cominciato ad essere avvertiti.

Da qui l’idea di fondare un centro studi delle scienze della comunicazione.

Una conseguenza immediata, mi sembra, è il declino della letteratura.

Ecco perché è importante leggere Goody e immergersi nella questione omerica.

L’ipertrofico uso delle tecnologie di stampa, causa e insieme effetto dell’alfabetismo generalizzato, ha determinato una spettacolare caduta di attenzione per la parola stampata e scritta. Come tu hai osservato in Empire and Communication le ere letterarie sono state poche e brevi nella storia umana. L’attuale era ha avuto una durata eccezionale di quattrocento anni. Ci sono molti sintomi della sua fine imminente. Il periodico a fumetti, per esempio, è stato visto come una forma letteraria degenerativa, invece che una forma nascente, pittorica e drammatica scaturita dalla nuova importanza delle comunicazioni audiovisive nelle riviste, nella radio e nella televisione. I giovani d’oggi non sanno seguire la narrazione, ma sono attenti al racconto visivo. Non sopportano la descrizione ma amano la percezione visiva e l’azione. Se la letteratura è destinata a sopravvivere solo come materia scolastica a parte che per pochi iniziati, questo deve avvenire attraverso una trasposizione delle sue modalità di percezione in questi nuovi mezzi di comunicazione. I nuovi mezzi, che sono ormai molto più formativi dal punto di vista istruttivo di quelli dell’aula scolastica, debbono essere verificati e giudicati nell’aula, se l’aula è destinata a continuare a esistere come qualcosa di diverso da un luogo di detenzione. Come insegnante di lettere penso ormai da molto tempo che il ruolo della letteratura non può essere mantenuto in un tempo come quello attuale, senza una modificazione radicale dei metodi didattici. Mancando questa trasformazione il Latino e il Greco sono stati confinati tra gli specialisti …

[…]

Poiché i mezzi di comunicazione ad alta tecnologia hanno diffuso e rafforzato la presenza delle arti nel grande pubblico, diventa sempre più necessario dedicarsi allo studio del ruolo e dell’efficacia dell’informazione su tutta la società

[…]

Mi sembra evidente che Bloor Street [ndr: il luogo in cui aveva sede la Facoltà di Economia dove Innis insegnava] è il solo posto in questa Università dove si potrebbe dar vita a un centro studi sulle arti e sulle scienze. E il concetto ispiratore sarebbe naturalmente “teoria e pratica della comunicazione”. Un luogo di studio delle forme attuali e storiche insieme.

Ulteriore legame tra Innis e McLuhan è la filiazione degli studi sulla comunicazione auspicati da questi due celebri autori nei Cultural Studies. Jennifer Slack, allieva dei primi studiosi collocabili in questo filone, ha scritto un testo dal titolo Culture + Technology. A Primer (Peter Lang Publishing, New York, 2005) in cui cerca di coniugare Cultural Studies e Mass Communication Studies, assumendo che la tecnologia è cultura. Per sfuggire alla tenaglia del determinismo che minaccia Innis, McLuhan e la scuola di Toronto (insito nell’idea che la struttura mentale delle persone e la cultura di una determinata società siano influenzate dal tipo di tecnologia di cui essa dispone), introduce i concetti di articolazione e assemblaggio. «La tecnologia non è autonoma, ma si connette integralmente al contesto all’interno del quale è sviluppata e utilizzata. La cultura è fatta di queste connessioni, e le tecnologie sorgono all’interno di queste connessioni come parte di loro e hanno effetto all’interno di esse». Articolazione e assemblaggio sono le caratteristiche cruciali di una prospettiva che l’autrice chiama «espressiva» degli strumenti di comunicazione. La cultura è fatta di infinite articolazioni, e la rete di queste articolazioni – potenzialmente anche in contraddizione tra loro – si chiama “assemblaggio”. Questa tenta di essere una spiegazione del funzionamento degli strumenti di comunicazione  della rete, sempre caratterizzata da intrinseci effetti contraddittori. Gli effetti, dunque, non sono sempre gli stessi (come vorrebbe il determinismo), ma dipendenti dalle differenti direzioni delle articolazioni all’interno di questa cornice. Non c’è un solo effetto possibile, quindi, ma più effetti possibili.


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