Testo e comunicazione


Testo digitale (Sperberg-McQueen)

La lingua scritta sembrerebbe non godere più, oggi, della centralità che aveva in passato. E questo a causa della rivoluzione comunicativa innescata dai mutamenti sociali e tecnologici degli ultimi decenni.

I canali comunicativi si sono moltiplicati, così come i modi per produrre significato. Più in particolare, ha assunto una importanza crescente la multimedialità, in cui il significato è costruito e veicolato attraverso l’associazione di più mezzi espressivi. Pensiamo alle pagine di Internet, ove vi è una commistione di testo scritto, suoni, immagini, animazioni. La scrittura, qui, è un costituente fra gli altri, limitato di solito a segmenti di poche righe, mentre un ruolo preponderante assume la dimensione visiva. La multimedialità appare, dunque, come il paradigma emergente della comunicazione, ovvero del confezionamento e della trasmissione dell’informazione.

In questo quadro, tuttavia, la scrittura continua ad occupare un ruolo di grande rilevanza, nonostante le apparenze sembrino dimostrare il contrario. Vi è anzi una richiesta crescente, nella società avanzata in cui viviamo, di una competenza di scrittura solida e differenziata.

Accanto ai messaggi multimediali, Internet ha portato alla diffusione di nuove pratiche di scrittura, come le lettere elettroniche, le mailing-list, i newsgroup, i forum, le chat-lines (per non parlare degli SMS). Gran parte di questa messaggistica è caratterizzata da uno stile linguistico informale: periodi spezzettati, uso prevalente della giustapposizione, utilizzo di abbreviazioni, largo impiego di artifici espressivi che mimano l’espressività del parlato. Ad esempio, l’uso stravolto delle maiuscole per simulare un volume più alto di voce; la ripetizione delle vocali (siiiii) per manifestare emozione; le ben note faccine (emoticons) per trasmettere gli stati d’animo. Tutto questo ha fatto dire che con queste scritture si ha un ritorno a certe dimensioni dell’oralità (immediatezza, agglomerazione, situazionalità, emotività…), a detrimento della pratica del linguaggio riflessivo.

In realtà l’uso della scrittura ha subito un incremento, seppure relativo a forme particolari, e la rete ha generato una vera e propria esplosione della comunicazione scritta. Inoltre, questi nuovi stili di scrittura, che hanno conquistato propri spazi di espressione, non hanno ancora dimostrato di poter contagiare i generi di scrittura associati all’informazione professionale, alla cultura, alla scienza. Un articolo di giornale, un saggio, una argomentazione storica continuano a richiedere un certo linguaggio, una chiara organizzazione testuale, il rispetto di determinate convenzioni, anche quando (come spesso succede) vengono immessi in rete. Si tratta, dunque, di riconoscere che esistono diversi modi di scrittura a seconda del contesto in cui ci si trova, degli scopi che ci si propone e del mezzo che si utilizza.

L’analisi della testualità digitale impone di partire dal concetto di “testo” come spazio sperimentale, culturale e pragmatico dove si collaudano forme del discorso e modelli di ordinamento del reale, per giungere a individuare i nuovi e specifici caratteri fondanti. Uno dei primi effetti di una simile analisi è proprio la trasformazione profonda delle nostre nozioni di testualità e di scrittura. La loro funzione è sempre stata legata alla possibilità di rendere visibili nello spazio il linguaggio e il pensiero, pur nelle varie configurazioni storiche. Oggi è necessario comprendere che la spazialità materiale del testo si trasforma radicalmente: da estensiva diviene intensiva, da pittorica diviene architettonica. Il testo, nelle sue nuove forme, perde totalmente l’unicità della dimensione superficiale e diventa stratificato in livelli formalmente e qualitativamente distinti, e non sempre visibili.

Il rapporto del testo digitale con la letteratura vera e propria è duplice. Esso, da un lato, tenta di scrollarsi di dosso i pregiudizi letterari, dall’altro, fa riferimento al sapere letterario – disciplina del testo per eccellenza – come repertorio di strumenti di analisi collaudati. Con ciò si afferma soltanto che la testualità costituisce ancora il luogo centrale della riflessione e dell’autocoscienza delle discipline umanistiche e, in qualche caso, delle scienze in generale.

Proprio sulla base di questa persistente centralità del testo, seppure di nuovo tipo, si è proceduto all’ideazione di sistemi di digitalizzazione dei testi letterari, per renderli funzionali alle esigenze di un loro trattamento a fini di consultazione e, soprattutto, di ricerca per mezzo di strumenti informatici. La Text Encoding Initiative (TEI) è uno di questi progetti – quello di maggior successo finora, forse – che si propone di sviluppare delle linee guida per codificare i testi elettronicamente e renderli leggibili ai computer. Si tratta di un linguaggio di markup costituito da tag dichiarativi (indicano l’appartenenza di un dato segmento ad una determinata classe di strutture testuali) o procedurali (specificano quale procedura deve essere eseguita, in quel punto, dal programma). Lo sforzo è quello di giungere a ideare un sistema rappresentazionale che sia adatto al maggior numero di testi e che, quindi, sia estendibile a seconda delle specifiche e contingenti caratteristiche del testo che si ha di fronte.

C. M. Sperberg-McQueen, nel suo articolo Text in the Electronic Age: Textual Study and Text Encoding, with Examples from Medieval Text pubblicato in “Literary and Linguistic Computing” nel 1991, fornisce una visione generale dell’apparato teorico che sorregge la TEI. In particolare, egli porta esempi concreti di testi medievali e della prima modernità per illustrare alcuni dei complessi problemi che il metodo di codifica digitale dei testi si trova ad affrontare.

Sperberg-McQueen enuclea una serie di assiomi che ogni schema di markup deve incorporare:

  • Un linguaggio di markup deve riflettere una teoria del testo.
  • Esso deve permettere di esprimere una interpretazione del testo.
  • Dietro ogni linguaggio di markup deve esistere la consapevolezza che non è possibile individuare un insieme finito di caratteristiche testuali da codificare, di testi da “taggare”, o di usi per i quali i testi devono essere resi disponibili.
  • Un linguaggio di markup deve essere capace di descrivere l’organizzazione linguistica di un testo.
  • Esso deve riconoscere che i testi sono oggetti fisici, allo stesso tempo lineari e gerarchici, e deve essere capace di codificare riferimenti interni ed esterni al testo.
  • Infine, un linguaggio di markup deve evidenziare che i testi possono riferirsi ad oggetti reali e fittizi e che sono essi stessi oggetti storici e culturali.

E’ fondamentale sottolineare che mentre non sarà necessario ricorrere, per codificare un testo, a tutti i tag definiti dalla TEI, è essenziale che questo sistema ideale di markup permetta di esprimere ogni tipo di componente testuale potenzialmente rintracciabile.

Dei problemi dell’edizione digitale si occupa una scienza antica e pure attuale, la filologia, che oggi si avvale dell’informatica per espletare il suo storico compito di conservare e rappresentare la conoscenza. Attualmente si possono osservare tre filoni di studio relativi allo specifico del testo digitale:

  • la filologia digitale/computazionale, che intende la codifica come atto ermeneutico e utilizza l’automazione nelle procedure di critica testuale;
  • l’etnofilologia digitale, che tenta di fornire una rappresentazione della genesi del testo, del ruolo del pubblico, dei produttori, dei supporti, ecc.;
  • la post-filologia, che contempla processi come l’accesso e la fruizione diretta ai documenti e la coautorialità (Wiki, Writeboard, Google Docs, ecc.).

A quanto detto finora va aggiunta qualche considerazione in merito al nuovo fenomeno del Web 2.0. In particolare, mi sembrano condivisibili quelle che il Prof. Domenico Fiormonte ha esplicitato durante il corso “Forme e generi della testualità digitale” 2009.

È una provocazione pensare oggi all’edizione critica di una chat o di un blog? Chi e come costruirà l’accesso al canone cyberletterario del futuro? Google? È questa la strada giusta (ammesso che Google lo sappia)? E infine, siamo sicuri che il nostro obiettivo debba essere quello di assecondare la nostra paura di perdere la memoria e di conseguenza elaborare sempre nuovi e più potenti strumenti di conservazione? Di fronte all’universo mutante della scrittura e del testo digitali, il primo dovere dell’umanista è forse quello di riappropriarsi degli strumenti di produzione. Produzione e conservazione del testo nel mondo cartaceo potevano essere considerati (ma non sono sempre stati) momenti separati. Oggi, da una parte abbiamo le forme ‘native’ della scrittura elettronica, che pongono problemi critici del tutto nuovi; ma dall’altra abbiamo il lavoro di edizione dei testi che ne viene in qualche modo illuminato e al contempo scosso dall’interno. Le tecnologie di produzione non sono più disgiunte da quelle di conservazione. È come se il riflesso delle forme native di comunicazione digitale si riverberasse all’indietro, colpendo al cuore il nostro sistema di ‘valori’: modi, sguardi, metodologie.


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